LA SINDROME DEL TRAMPOLINO ROTTO
- L'Aculeo
- 5 set 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Otto anni fa mi diplomavo.
Otto anni, faccio così fatica a credere che sia già passato così tanto tempo e, ultimamente, il pensiero di quel particolare periodo della vita, che ti conduce dall’adolescenza alla vita adulta, non fa che ripresentarsi a ondate continue.
Sarà perché in questo anno e mezzo di pandemia ho deciso di riguardarmi tutte le serie tv adolescenziali mai prodotte fra gli anni ’90 e i duemila per poter ritornare indietro ad un tempo nel quale mi sentivo felice e nel quale mi riconoscevo, ma il pensiero di ciò che sarebbe potuto o che sarebbe dovuto essere e non è stato, ultimamente si fa vivo troppo spesso.
Posso onestamente affermare di aver passato i migliori anni della vita da liceale. Non so quanti di voi possano fare altrettanto, ma per me è proprio così.

Non c’erano stories Instagram da postare puntualmente per dimostrare agli altri che ci stavamo divertendo ed, infatti, senza l’obbligo di doverlo fare, ci divertivamo molto. Ho decine di ricordi in testa, come un vecchio film su pellicola, che mi ricorda quanto fosse bello persino un compito in classe, con la prerogativa del dopo, di quando ci si confrontava insieme fuori dalla classe o ci si incontrava alle macchinette e si chiacchierava con chiunque, dal compagno della classe accanto al ragazzo che riempiva i distributori.

E si rideva, ci si faceva mille complessi, ma si rideva tanto. Le risate fanno da sottofondo alla gran parte delle mie memorie di quel periodo. Anche quando ci si arrabbiava o si facevano quelle litigate che solo i teenagers sanno fare, di quando pensi di avere il problema più grande del mondo e che non finirà mai quella sensazione, beh ,anche lì alla fine si rideva. Ricordo anche la paura del periodo in cui tutto stava per finire e sapevo di dover accettare le cose perché, oltre quella paura matta, c’era il futuro ad attenderci.
Ero molto più brava ad accettare le cose all’epoca o forse era solo più facile farlo, quando ciò che avevi davanti sembrava l’avventura più esaltante del mondo, quando l’unica cosa che dovevi fare era prendere un bel respiro, fare quel tuffo nel vuoto e in pochi secondi saresti arrivato dall’altra parte, sano e salvo e pronto a vivere la tua nuova ( e miglior) vita.

Beh, oggi credo di non aver mai fatto quel salto. Mi sembra di aver avuto così tanta paura che ho rotto in mille pezzi quel trampolino e mi sono voltata dall’altra parte. O forse son caduta giù, in quel mare blu profondo che è la vita dopo la scuola, perché è cosi che mi sono sentita poi per tanti anni a venire. Dispersa in acque torbide e agitate in cui cercavo di stare a galla con una fatica tale che le mie energie bastavano appena per tenermi in vita, quindi, come avrei potuto anche solo pensare di andare avanti, quando le onde, in cui si specchiavano tutte le delusioni che stavo causando, tentavano di tutto per risucchiarmi?

Ed ora che siamo tutti fermi, stagnanti in tutto che ci costringe immobili al ricordo di ciò che eravamo nel Prima, il pensiero che, dal giorno in cui il mio trampolino per la vita è andato in pezzi ad oggi, ho costruito ben pochi ricordi memorabili come quelli di un tempo, ben pochi rapporti con dentro i sentimenti di un tempo e ben pochi successi lodevoli come quelli di un tempo mi fa venir voglia di rimettere insieme ogni singolo pezzo di quel puzzle rettangolare e traballante che portava al futuro perché oggi questa sindrome, questo trampolino rotto me lo porto dentro; perché questa malinconia oggi, come una malattia, ha cronicizzato ed io non possiedo la cura. Non possiedo l’antidoto per la nostalgia di quel viaggio non compiuto, posso solo continuare a vagare, collezionando frammenti di vita lungo la mia strada, sperando un giorno di essere in grado di costruire una nuova pedana di lancio che, seppur nemmeno lontanamente luminosa ed eccitante come quella perduta, mi lanci finalmente nel mare magnum delle mie (finalmente) infinite possibilità.
Simona
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