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Il tacito assenso: uno squarcio nell’immagine che abbiamo di noi.

  • Immagine del redattore: L'Aculeo
    L'Aculeo
  • 26 lug 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

L’essere umano nasce, cresce e muore. Fin qui tutto bene, una frase accomodante e decisamente non confutabile, degna di una definizione del primo capitolo di scienze di un qualsiasi sussidiario. Il problema è che, quando pronunciamo con estrema facilità quelle tre voci dell’indicativo presente, non ci rendiamo conto di come contengano tutti i modi e i tempi verbali previsti dalla nostra grammatica. Il congiuntivo, il condizionale, l’imperativo, l’infinito, il gerundio. Il passato, il futuro.

L’essere umano oscilla, infatti, come un pendolo tra tutte queste variabili che sembrano però essere molto poco soggette a variazioni, anzi, sembrano scandire con una certa fretta, a tratti aggressiva, la direzione dei nostri giorni e dei nostri passi. E mentre è lì, a destreggiarsi tra un dovrei ed un devo, l’io si interroga e cerca conferme altrove.




Sin da bambini cerchiamo uno specchio dove riflettere l’immagine che abbiamo di noi, per delinearne meglio i contorni, spesso confusi e poco chiari, una fase fondamentale in cui la ricerca e la scelta dello specchio è necessariamente più importante del riflesso stesso.

L’immagine che abbiamo di noi è l’insieme di una serie di parametri sociali, politici, introspettivi e non che influenzano inevitabilmente il nostro modo di stare al mondo.

In età prescolare, il bambino, infatti, ricerca la propria immagine in un modello che gli è vicino quale può essere un genitore, un fratello, un qualsiasi parente o chi ne fa le veci. L’approccio al mondo esterno e la fuoriuscita dal guscio familiare, porta il bambino a proiettare la ricerca del suo stesso riflesso in figure differenti, appartenenti ad ambienti diversi ma la scelta viene influenzata dalla tipologia di rapporti costruiti precedentemente.

Facciamo un esempio. Un bambino, che abbia riposto la percezione dell’immagine di sé in un genitore autoritario e severo, cercherà un nuovo specchio seguendo una metodica per così dire dantesca, seguendo quasi la legge del contrappasso, per analogia o per contrasto. La ricerca sarà rivolta verso una seconda figura autoritaria, che mantenga un equilibrio nella vita del bambino stesso, oppure verso una figura docile e comprensiva che rompa l’equilibrio e contribuisca a creare una visione completa dell’altra faccia della medaglia.

Ciò che, in generale, un bambino o un adulto ricercano nello specchio dell’immagine di sé è l’approvazione del proprio fenotipo piuttosto che della propria essenza.

Se ci pensiamo, è difficile dire il contrario. Siamo estremamente preoccupati dall’idea che l’immagine che l’altro abbia di noi possa discostarsi da quella che crediamo di indossare con estrema cura ogni giorno. E ancora, è necessario che l’immagine che abbiamo di noi sia il risultato dell’immagine creatasi dal riflesso in cui ci siamo specchiati quando eravamo piccoli.

E se così non fosse?

A quel punto arriva lei, la cugina bastarda della solitudine: l’alienazione.

Ci distacchiamo dal nostro corpo e riusciamo a toccare con mano la netta separazione che esiste tra chi siamo e chi sembriamo. Un po’ come quando versiamo dell’olio d’oliva sull’acqua: galleggia.

Vengono a galla le nostre paure, le nostre ansie, i nostri fantasmi del passato che vengono fuori come quelle ombre riflesse nello specchio che avevamo semplicemente trascurato; non sono mai andati via, stavano solo giocando a nascondino.



Ma cosa ci porta a capire che si è rotto qualcosa? Cosa ci fa capire che non siamo più in linea con ciò che tutti, compresi noi, ci aspettavamo di essere?

È proprio lui, il nostro riflesso che ha smesso di dirci no e ci regala solo taciti assensi.

Un tacito assenso è l’assenza di premura, la cessazione di un rapporto fatto di interesse e di amore, l’ignavia di fronte ad un’immagine che cambia e che non si è più in grado di reggere. Perciò, quando l’immagine di noi cui facevamo affidamento si specchia in un riflesso che non riconosce più la differenza tra un sì giusto ed un sì sbagliato, perdiamo la nostra percezione e continuiamo a fidarci di chi, sino a quel momento, era il migliore conoscitore di noi stessi. Ma siamo cambiati e con noi anche il nostro riflesso. Non siamo pronti e, soprattutto, non è così scontato che lo sia anche il nostro specchio. Siamo capaci e volenterosi di effettuare il cambiamento ma non sempre abbiamo le forze per reggerne le conseguenze.

Allora, come possiamo reagire? È importante non lasciarsi inghiottire dallo squarcio lasciato da quelle parole taciute a metà, da quei silenzi sospesi che stridono come gessi sulla lavagna. Dobbiamo aprirci un varco e trovare la giusta dimensione per ricostruire noi stessi a partire da quelle paure e da quella ansie di cui parlavamo all’inizio e non dai frammenti di vetro del nostro riflesso che, ormai, non esiste più.

Dobbiamo preoccuparci di quello che siamo diventati e non di quello che eravamo e che avremmo potuto continuare ad essere.

Solo così potremo specchiarci e pensare che il vecchio riflesso è come uno di quei fantasmi del passato che appaiono alle nostre spalle minacciosi, ma non dobbiamo averne paura, perché l’immagine che abbiamo di noi ha imparato a conviverci e, forse, non è poi così male.



Manuela

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