Generazione X.
- L'Aculeo
- 31 gen 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Se chiedete ad uno dei cosiddetti adulti di descrivere in una parola i giovani d’oggi, quella parola sarebbe probabilmente "sfaticati". O forse maleducati. Incapaci. Fortunati. Lamentosi. Sprezzanti delle regole. Insomma, la feccia della società.

Siamo davvero così? Posto che non si possa ridurre una persona ad una sola parola, figuriamoci un’intera generazione, sarebbe piuttosto auspicabile comprendere come mai la vecchia guardia ce l’abbia così tanto con una generazione che sta unicamente tentando di non affogare e raggiungere la riva da cui i nostri genitori, zii, nonni ci guardano schernendoci e urlando che, alla nostra età, loro non solo sapevano nuotare ma erano anche campioni olimpici.
I famigerati adulti sono persone nate all’incirca negli anni ‘60 che hanno trascorso la giovinezza in uno dei periodi più floridi di sempre ma ancora privo di tutta la tecnologia attuale, in cui i rapporti si costruivano guardandosi negli occhi, scrivendosi dolcissime lettere e riunendosi con gli amici al famoso “muretto”. I nostri predecessori erano figli di genitori che, spesso, avevano vissuto la guerra, la povertà e che hanno fatto di tutto per dare ai figli ciò che loro non avevano mai avuto, e no, non parlo dell’ultimo iPhone, bensì di una certezza, una stabilità economica miscelata a valori ancora ben saldi e, molto spesso, hanno lasciato loro anche un bel posto di lavoro pronto e caldo, all’arrivo della tanto agognata pensione.
Ah sì, i nostri genitori sono anche coloro che hanno vissuto nell’epoca in cui le risorse terrestri sono state sprecate come non ci fosse un domani e che hanno trovato un buon lavoro e la possibilità di costruirsi una famiglia propria a venticinque anni. E noi? Noi siamo i figli di questa generazione, noi siamo gli sfaticati, i maleducati, quelli che non si applicano, che si lamentano, che se ne fregano delle regole.
Eh no, belli miei, noi siamo i disperati. Siamo una generazione di disperati fino al midollo.
Siamo la generazione di coloro che figli ci si sentono sempre, che anche a trent’anni continuano a sentirsi degli adolescenti, ancora in casa coi propri familiari e, no, non perché ci piaccia tanto stare alla corte dei nostri, ma perché, nel 2022, chi può permettersi di andare a vivere da solo se ha l’università ancora da finire o un lavoro precario da sopportare?!?
Siamo la generazione di quelli che sono ancora giovani ma non lo sono più nemmeno così tanto, o almeno non ci si sentono più, visti gli anni passati solo ed esclusivamente a sgobbare, ulteriormente esasperati dalla propria famiglia che, col pretesto spesso di una vita migliore per il figlio - ma migliore perché poi se a vent’anni avevate già un lavoro e un coniuge - non fa altro che sottolinearne la fortuna e la mediocrità.
Ma, in questa generazione, ci sono anche coloro che hanno dovuto rimboccarsi le maniche sin dai diciotto anni per prendersi cura di se stessi e di un nucleo familiare creatosi troppo presto e i cui problemi sono inevitabilmente ricaduti sulla prole che oggi va ad arricchire la nostra grande cerchia di disperati.

Siamo anche una generazione di incompresi perché se è vero che chi ci ha preceduto ha inizato, spesso, a lavorare molto prima di noi, è anche vero che gran parte delle professioni svolte in passato con un semplice diploma, richiede oggi laurea e master e anche quel pizzico di esperienza che a certi datori di lavoro non basta mai; tuttavia, lo zio, la zia, il procugino ci tiene a sottolinearti, ogni volta che per sbaglio ti incontra, che sei un privilegiato, che non puoi lamentarti e che se sei fuori corso all’università è colpa tua che passi le ore a scorrere il dito su quell’aggeggio maledetto chiamato cellulare.
Il cellulare. Colpevole, insieme ai figli, di ogni macchia che affligge la società di oggi,secondo i nostri cari cinquantenni. Cinquantenni che, però, con quel cellulare ogni giorno partecipano a catene virtuali che arrivano sino a Rio de Janeiro, sono attenti a ogni fotografia o post che il figlio, l’amico del figlio, l’amica del cuore dell’asilo della figlia condividono su facebook e che, qui viene certamente il meglio, credono ad ogni notizia condivisa sui social, senza nemmeno la necessità di leggerla.
E se la nostra è una generazione di incompresi, la loro è sicuramente una generazione di no-guilty, sì perché loro di tutto ciò che la società è diventata oggi, non se ne sentono responsabili nemmeno un po'. Non solo non si preoccupano minimamente del cambiamento climatico, non solo non è fra i loro pensieri quotidiani, non solo continuano a esasperare i figli su quando daranno loro dei nipotini - da gettare in che tipo di mondo? - ma non sentono di esserne responsabili nemmeno un po', anzi, se c’è una colpa è sicuramente dei loro figli. O dei cellulari, magari.

E se i loro figli soffrono di disturbi mentali, ansia, panico, depressione…? Certo, loro non c’entrano nemmeno un po', certo loro hanno fatto tutto ciò che potevano per dare al figlio un futuro migliore di ciò che avevano avuto loro, però certo non è il caso di raccontarlo agli amici a cena, meglio parlare dei trofei universitari dell’altro figlio o del nipote perchè il successo è tutto ciò che conta. L’apparenza è tutto ciò che conta, sopratutto se è possibile esporla sui facebook con tanto di didascalia rubata a uno dei cantanti della generazione zeta.
Beh, comunque, se questo pezzo vi è sembrato solo uno sfogo pieno di frustrazione e insoddisfazione personale, è possibile che lo sia, perché, comunque, siamo anche la generazione degli arrabbiati col mondo e con chi, in questa società, ci ha riversati al mondo.
Simona
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