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Dischetti di cotone

  • Immagine del redattore: L'Aculeo
    L'Aculeo
  • 7 set 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 10 ott 2021


Quando finisce una relazione, che sia un rapporto di amore o di amicizia, si va quasi sempre incontro ad un iter che accomuna un po’ tutti noi. Si soffre, ci si arrabbia, ci si illude di essersi ripresi, ci si riprende per davvero e, infine, si fa pace con se stessi e con ciò che ci sta attorno. Le uniche variabili, in questo ciclo da manuale, sembrano essere la velocità di reazione ed il tempo impiegato, come un vero e proprio fenomeno fisico da studiare su piano cartesiano.

Eppure, l’amore, in qualsiasi forma esso si esplichi, sembra essere una delle cose che più attanaglia le nostre coscienze: ci costringe a sentirci soli e sbagliati quando non ci passa davanti per un po’, d’altra parte, ci dà quella sensazione di estrema fortuna quando decide di sostare presso di noi.

Allora, perché quando finisce fa così tanto male?


Chiudere un rapporto è un atto di coraggio, forse più grande di quello che si richiede per aprirne uno.

Quando si incontra una persona con cui si sta bene si provano diverse sensazioni: si viene travolti dalla curiosità, dall’attrazione fisica, mentale, a tratti si avvertono emozioni mai provate prima, in altri momenti se ne riscoprono alcune che erano rimaste sopite per molto, forse troppo, tempo. Ci si sente vivi, con un irrefrenabile desiderio di voler intraprendere un percorso pur essendo ignari di quanto troveremo percorrendo quella strada, ci abbandoniamo alle nostre sensazioni e ci fidiamo di qualcuno che sino a quel momento è poco più che un estraneo. Ed effettivamente le relazioni sono un pendolo che oscilla tra l'essere estranei ed il diventarlo, un lasso di tempo che si traccia come un segmento interposto tra il non conoscersi e l'essersi conosciuti.

Cosa ci spinge a chiudere un rapporto? E cosa ci rende così vulnerabili davanti a tale scelta attiva o passiva che sia?

Spesso dimentichiamo quanto vivere all'interno di una coppia necessiti la conservazione e la tutela dell'individualità.

Esistere in una coppia significa continuare ad esistere per se stesso, solo così potremo essere certi dell'amore incondizionato dell'altro. Del resto, chi abbiamo di fronte, è lì per essersi innamorato del nostro modo di esserci posti, dell'immagine consapevole che quotidianamente cerchiamo di dare.

La coppia deve essere un luogo di crescita ed arricchimento personale, non un rifugio in cui diventare lo specchio dei compromessi reciproci che consentono ai componenti di poter andare avanti.

Va però detto che, all'interno del taglio lacerante lasciato dalla fine di una relazione, vi sono delle differenze sostanziali tra le due parti egualmente coinvolte.

Si tratta di differenze qualitative e non quantitative, due fenotipi dello stesso genotipo: il dolore causato dalla rottura.


ESSERE LASCIATI.

Subire una rottura è uno dei dolori più laceranti che si possa provare. All'improvviso tutto ciò che fa parte della propria quotidianità viene meno, le certezze scompaiono, ci si sente fragili, inermi di fronte ad un dolore che pian piano si nutre ogni giorno di ogni singolo lembo di pelle rimasto. Si cambia, si perde fiducia nel prossimo ed anche in se stessi, ci si affanna a cercare delle spiegazioni e delle motivazioni che possano risiedere in se o nell'altro. Uno dei problemi più grossi è proprio la mancanza di tali risposte, perché, effettivamente, di fronte ad un dolore apparentemente impossibile da superare, forse non c'è alcun tipo di risposta, se non la più semplice, a tratti beffarda nei toni.

Succede.

E' l'unica risposta che si trova, l'unica che ci si può dare, l'unica dotata di una forma impersonale che va ad assolvere qualsiasi colpevole in una faccenda di difficile investigazione.

Vi è una sorta di fenomenologia dell'abbandono, quello subito: tristezza, rabbia, delusione, indifferenza, riconoscenza per il passato vissuto insieme. Il tutto condito da un piacevole sottofondo nostalgico che prende il nome di "mancanza". Mancanza dell'altro e mancanza di sé in funzione dell'altro, mancanza di quei progetti di vita pensati insieme e di tutto ciò che rendeva quella coppia un amalgama inscindibile.


LASCIARE.

Come dicevamo all'inizio, lasciare è un atto di coraggio forse maggiore di quello richiesto per intraprendere una relazione. Si lotta con il senso di colpa latente che non abbandona il fautore della rottura per molto tempo, si cerca di trovare il modo più giusto per l'altro senza considerare che, in fin dei conti, non c'è un modo giusto per "abbandonare" una persona.

Ed effettivamente l'abbandono non è ciò che si vorrebbe fare ma non c'è scampo, è l'unica cosa cui si può ricorrere quando ci si rende conto di non riuscire più a respirare, ad essere se stessi, ad essere felici e a rendere felice l'altro. Accorgersi delle proprie mancanze, verso l'altro e verso se stessi, è anch'esso un gesto di abbandono, al contrario però.

Quando si lascia ci si sente lasciati da se stessi in qualche modo, da quell'io che non esiste più e si cerca in tutti i modi di ripristinarlo, con una disperata ricerca di quello che ormai non c'è più, pur di non distruggere tutto quello che si è costruito a fatica.

Chi lascia deve anche fare i conti con un fallimento personale, con il proprio modo di vivere i rapporti, con la consapevolezza che forse non si è così capaci di amare come si credeva se non si è in grado di far vivere quell'amore per sempre.

Così, tutto sembra cancellato, come quando ci si strucca e le macchie restano sui dischetti di cotone.


Si sfregano con forza sugli occhi, poi sulle guance, su tutto il viso ed il trucco scivola via, lasciando ancora qualche scia sul viso.

E' un viso stanco, diverso, vissuto, forse meno bello, ma è un viso puro, come nuovo, che ancora conserva il passaggio di quel trucco che abbiamo indossato per un po'.

Ma l'amore non è un trucco, può somigliare a qualche espediente magico ma no, decisamente non lo è.

E questo ci deve consolare, perché l'amore finisce, va via, ma come insegna la chimica, nulla si crea, nulla di distrugge, tutto si trasforma, quindi, le relazioni in cui abbiamo dato parte di noi e abbiamo ricevuto parte dell'altro, non si cancellano come il trucco con i dischetti di cotone, ma si trasformano in ricordi che prima bruciano forti e poi scaldano il cuore.



Manuela

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