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Diana Spencer: lei era il vero miracolo.

  • Immagine del redattore: L'Aculeo
    L'Aculeo
  • 31 mar 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

"Una favola tratta da una vera tragedia."


Ecco come comincia Spencer, pellicola del regista Pablo Larraìn, sull'indimenticata Lady Diana, principessa del Galles. Ma questo non è l'ennesimo film sulla vita della principessa triste perché, in realtà, si concentra su un arco temporale molto breve di soli tre giorni, le feste Natalizie del 1991 che Lady D trascorse con la famiglia reale nella tenuta di Sandringham, che furono decisivi per far maturare nella Principessa l'idea di mettere fine alla sua vita all'interno della Famiglia Reale.

Kristen Stewart, candidata all'Oscar come miglior attrice per il ruolo, veste magistralmente i panni della principessa del popolo la quale sta vivendo una profondissima crisi, vessata dai tradimenti del marito e dall'asetticità della vita a corte, indebolita dalla bulimia e costantemente al centro delle attenzioni della stampa di cui dice: "Le loro lenti somigliano più a dei microscopi. Ed io sono l'insetto nel piatto. Mi stanno strappando le ali e le zampe. Uno a uno, prendono appunti su come reagisco."


La pellicola di Larraìn, per una strana coincidenza, inizia proprio laddove la quarta stagione di The Crown si è fermata ma, diversamente dalla pluripremiata serie tv, non si pone l'obiettivo di raccontare in maniera precisa la storia della Famiglia Windsor di quegli anni poiché dà per scontato che il pubblico la conosca, come dimostra l'allusione ai tradimenti del principe Carlo con quella "lei" di cui non si pronuncia mai il nome ma la cui identità è chiara, e poiché non è questo il suo intento. La Royal Family, compresa la Regina Elisabetta, fa solo da sfondo, come le lussuose pareti della residenza Reale, ai nerissimi tormenti interiori di Lady D, costantemente in preda all'ansia, che arriva a immaginare di fare a pezzi le perle regalatele dal consorte e uguali a quelle della "Lei" sua amante, e ingoiarle insieme alla cena della Vigilia o, addirittura, che immagina aggirarsi per il castello Anna Bolena, regina consorte che venne fatta decapitare dal marito Enrico VIII per sposare un'altra donna, e in cui Diana vede il preludio alla sua stessa decapitazione, sebbene metaforica, ma che alla fine sarà la chiave per stravolgere tutto, la chiave che aprirà la serratura di quella prigione dorata dalla quale non sembrava esserci via di uscita.

Il regista, che è stato spesso definito visionario, ci confeziona quindi un quadro a tratti surreale di tre giorni fondamentali nella vita, ma soprattutto nella mente, della principessa del Galles che, invidiata dal mondo intero nei suoi abiti Chanel, vorrebbe solo tornare a quando, bambina coi vestiti tutti sporchi di fango, giocava con uno spaventapasseri che, a sottolineare le atmosfere cupe che delineano l'intero film, è tutto ciò che le resta di allora, insieme ai suoi bambini, William e Harry, unico vero miracolo di una vita squarciata, quel miracolo che Diana dice loro che non hanno mai avuto, ma che ciascuno di loro vede nell'altro di cui emblema è la scena finale.


A venticinque anni dalla sua morte, Diana, colei che, come in una favola moderna, decise di diventare per sempre Regina abbandonando il principe, è ancora un'icona pop e una donna su cui si scrivono libri e si girano film ma, probabilmente, nessuno potrà mai renderle davvero giustizia fino in fondo perché, per quanto spesso triste sia stata la sua vita privata, la sua esistenza nella ha permesso di abbattere le mura che sempre hanno circondato temi quali la salute mentale o l'AIDS e ha cambiato per sempre le vite che ha "toccato" come quelle delle tante vittime delle mine antiuomo in Africa.

E, forse per tutto questo, non riusciamo ancora a dimenticarla e sentiamo il bisogno di produrre e, quindi, di guardare ancora tanti film su di lei. Perché, alla fine dei conti, quella principessa del popolo ci manca ancora tanto. E sempre mancherà.




Simona

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